Cosa si intende quando si dice “attore” o “attrice” nel contesto mediale italiano contemporaneo? Quali sono le strategie impiegate dai nostri «antidivi» (Carluccio, Minuz 2015, pp. 10-11) per gestire la loro immagine sui social network? Qual è il peso del reference system sulla «bancabilità» (McDonald 2020) degli attori selezionati in film di interesse culturale? Come la serialità televisiva contribuisce al ricambio generazionale? Qual è il ruolo del web nella promozione dei giovani e quali sono i principali luoghi di formazione?

A queste ed altre domande cercherà di rispondere il presente dossier, che – sulla scorta degli obiettivi indicati nel progetto Prin F-ACTOR: Forme dell’attorialità mediale contemporanea. Formazione, professionalizzazione, discorsi sociali in Italia (2000-2020)* – intende offrire una cartografia di un paesaggio, quello dell’attorialità italiana, sempre più frastagliato e intermediale. Il recente lockdown, infatti, ha dimostrato ancora una volta come il grande schermo sia rimasto ormai solo uno dei tanti (e forse nemmeno il principale) luoghi di circolazione dell’immagine di celebrità sempre più abili a comporre storie su Instagram e disponibili a condividerle, anche in diretta, con i loro follower.

Pur rifuggendo le luci dei paparazzi e il velluto dei tappeti rossi, alcune stelle del nostro piccolo firmamento non si limitano più infatti a sfiorare «a volo radente la vita dei mortali» (Morin 1955), ma la toccano, nel tentativo di rafforzare quella tradizione antidivistica che, dal neorealismo a oggi, sembra giocare un ruolo fondamentale nei processi di validazione della professionalità attoriale all’interno dell’industria culturale. Non siamo come loro, insomma, ma potremmo esserlo, perché indossiamo gli abiti che pubblicizzano, frequentiamo gli stessi luoghi di villeggiatura e, in alcuni casi, anche gli stessi medici. Esemplare in questo senso il commento di un’ammiratrice di Stefano Accorsi a un post che, sul profilo Facebook dell’attore, annunciava una nuova paternità: “Incontrarvi in ascensore per salire dalla stessa ginecologa… Fatto!”.

Più difficile, invece, è incontrare coloro che, come Toni Servillo, Elio Germano, Jasmine Trinca, Luca Marinelli e Valerio Mastandrea – forse la quintessenza della recitazione vissuta come impegno civile – rifiutano il divismo come sovraesposizione mediatica finalizzata al potenziamento della loro immagine e lo fanno per una ragione tanto artistica quanto politica, come a voler ribadire che quella dell’attore è una professione lontana dalle logiche del mercato e vicina a quelle dell’arte. Non è un caso che tre dei quattro attori sopracitati siano anche tra i più premiati nelle recenti edizioni dei David di Donatello e che nessuno di essi possegga un profilo Instagram: sulle forme di autopromozione e sulla relazione con il contesto produttivo rifletteranno, in questo dossier, Francesco Pitassio e Cristina Jandelli.

Tradizionalmente, la recitazione è stata spesso discussa in termini di performance; tuttavia, il fenomeno sempre più richiede di essere considerato da ulteriori e complementari prospettive. L’impianto metodologico del progetto F-ACTOR si caratterizza per la scelta di integrare gli studi sulla recitazione con quelli sulla produzione e sulla formazione, in modo tale da indagare ad ampio spettro la relazione tra le dinamiche dell’industria culturale e i discorsi sociali che producono il valore artistico ed economico degli attori. Attori che, oggi come ieri, vengono presi dalla strada (penso ai casting di Matteo Garrone e Alice Rohrwacher), dal teatro regionale o nazionale (rimando all’articolo di Emiliano Morreale), dalle scuole di recitazione (ne parleranno Mariapaola Pierini e Giulia Carluccio) ma anche – e su questo rifletteranno Luca Barra, Giulia Muggeo e Luca Antoniazzi – dai piccoli schermi: quello della TV generalista, che ha portato alla ribalta volti sconosciuti e prodotto attrici drammatiche come Ambra Angiolini, e quello delle Pay TV o delle TV on-demand, a cui va riconosciuto il merito di aver contribuito a rinnovare il parco attori italiano (penso a Romanzo Criminale – La Serie): l’apparizione in una serie televisiva permette l’acquisizione di una popolarità vasta ma forse meno prestigiosa rispetto a quella offerta dal grande schermo.

Difficile, nell’era della post-medialità, distinguere la celebrità televisiva da quella ottenuta su Youtube. Agenti e produttori di personaggi come Fabio Rovazzi e Checco Zalone, arrivati al cinema rispettivamente dal web e dalla TV, elaborano le strategie promozionali dei loro assistiti misurandosi con un pubblico che passa senza soluzione di continuità da un medium all’altro.

Ma come si relazionano gli attori di cinema con lo schermo televisivo? Se la partecipazione a format come il talk show o il Festival di Sanremo evidenzia la volontà, come ha dichiarato Pierfrancesco Favino, di colmare quella “frattura tra il cinema e la gente” che non esisteva nell’epoca dei grandi mattatori, il coinvolgimento nelle produzioni Netflix sottolinea la volontà di ampliare l’orizzonte del pubblico mantenendo però inalterati i tratti identitari del proprio brand. Emblematici, nella loro diversità, i recenti casi di Luca Marinelli e Isabella Ferrari: se il primo con il ruolo di Nicky, il guerriero immortale e omosessuale di The Old Guard (Prince-Bythewood, 2020), è riuscito a superare i ristretti confini del cinema d’autore nazionale diventando per alcuni giorni trend topic su Twitter,  la seconda, già madre distratta nelle prime stagioni di Baby (De Sica, Negri, 2018-2020), ha dimostrato di saper gestire in modo intelligente il proprio ageing rivestendo il ruolo di Irene, madre attraente ma ansiosa nel nostalgico Sotto il sole di Riccione (YouNuts!, 2020). L’interprete del figlio di Irene è il promettente Lorenzo Zurzolo, ventenne formatosi sin da piccolo nella palestra della fiction e ora additato come il nuovo Kim Rossi Stuart.

La genitorialità, pubblicizzata di recente anche da Luca Argentero con un’instafoto del ventre gravido della compagna, non è dunque solo l’affermazione di quei valori di vitalità e fertilità già propri dei divi classici, ma anche una sorta di metafora per indicare un ricambio generazionale ormai in atto. Interessanti, in questo senso, le operazioni di clonazione effettuate da Gabriele Muccino, che in Gli anni più belli (2020) ha voluto affiancare ai big Favino, Santamaria, Rossi Stuart e Ramazzotti quattro teenager ricalcati a loro immagine e somiglianza, e dai produttori di Skam Italia (Bessegato, 2018-2020), il cui cast si compone di giovani promesse come Ludovica Martino e Federico Cesari, casi indicativi di un modo nuovo e decisamente antidivistico di costruire una carriera attoriale. Allieva della Scuola Jenny Tamburi – che vanta tra i suoi diplomati anche Alessandro Borghi –, e straordinariamente somigliante a Isabella Ragonese, la ventitreenne Martino vanta una laurea in Interpretariato e traduzione, mentre Cesari, il cui aspetto fisico evoca in modo impressionante il giovane Elio Germano, alterna i ciak di Rai Fiction con gli esami di Medicina.

Non so, in conclusione, se ci sia ancora tra i nostri attori – affermati o no – quel «dilettantismo» e quel senso di «improvvisato» che Antonio Gramsci lamentava tra i divi degli anni dieci (Pierini 2017, pp. 19-38). Di certo quello del cinema italiano resta – se paragonato allo star system d’oltre oceano – un universo a limitata proiezione transnazionale, dove professionisti d’alto interesse culturale come Valerio Mastandrea o Pierfrancesco Favino non orientano al consumo di beni di lusso né a modelli di vita borderline, ma leggono, sul palco e sul web, rispettivamente frammenti di Pier Paolo Pasolini e articoli della Costituzione italiana, senza dimenticare di ricordarci – come fa anche Stefano Accorsi – di indossare la mascherina quanto previsto.

«Se io cercassi di salvare il mondo come fa Bruce Willis – ha dichiarato Favino sul canale Youtube di Marco Montemagno –, mi spernacchieresti». Perché i divi di Hollywood, oggi come ieri, vendono sogni di forza e bellezza, mentre i nostri (anti)divi si limitano semplicemente a parlare di noi. Del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro.

Riferimenti bibliografici
G. Carluccio, A. Minuz, Nel paese degli antidivi, in «Bianco e Nero» n. 581, gennaio-aprile 2015.
P. McDonald, Hollywood Stardom. Il commercio simbolico della fama nel cinema hollywoodiano, Cue Press, Roma 2020.
E. Morin, I divi, Mondadori, Milano 1955.
M. Pierini, Per una cultura d’attore. Note sulla recitazione nel cinema italiano, in L’attore nel cinema italiano contemporaneo. Storia, performance, immagine, a cura di P. Armocida e A. Minuz, Marsilio, Venezia 2017.

*F-Actor  è un progetto di ricerca nazionale coordinato da Francesco Pitassio e vede coinvolti i seguenti Atenei: Università di Udine, Università di Verona, Università di Firenze, Università di Roma La Sapienza, Università di Bologna, Università di Torino. Per seguire tutte le attività di ricerca, i seminari e i workshop rimandiamo a https://www.facebook.com/FactorPRIN.

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