Perché il piccolo Rudi ha deciso di non parlare più? “Ha visto qualcosa nella foresta”, dice la madre Ana preoccupata, mentre il padre Matthias lo spinge a ripercorrere i sentieri innevati intorno al villaggio per “imparare a combattere e a non avere pietà di nessuno!”. Ma cosa ha visto esattamente Rudi? Andiamo con ordine. Animali selvatici è il sesto lungometraggio di Cristian Mungiu – presentato in concorso a Cannes nel 2022, un Festival che sin dalla Palma d’oro vinta per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni lo ha legittimato come autore di punta del cosiddetto Nuovo cinema rumeno – ed è forse la sua opera più astratta e apertamente delegata ad archetipi puri come la foresta insondabile e gli animali feroci antropomorfizzati, le maschere grottesche e i riti folklorici.
In un piccolo villaggio della Transilvania, ai piedi dei monti Carpazi, vive una piccola comunità di frontiera dove si parlano comunemente molte lingue (il rumeno, l’ungherese, il tedesco) anche se in più di un’occasione si avvertono gli echi di antichi conflitti sociali. Il raggiungimento di questo faticoso equilibrio, infatti, ha paradossalmente comportato il rafforzamento di antiche intolleranze (i Rom sono oggetto di palese discriminazione) e la creazione di nuove barriere culturali (una cieca repulsione per qualsiasi politica comunitaria di integrazione). E allora, quando tre operai originari dello Sri Lanka vengono assunti da un panificio locale sotto l’egida dell’Unione Europea iniziano a materializzarsi i fantasmi tangibili di un razzismo dormiente.
I film di Mungiu, come sempre, non presuppongono svolte drammaturgiche o eventi “scatenanti” che rendano palesi i caratteri, gli obiettivi o le linee d’azione dei personaggi concedendo interpretazioni “privilegiate” delle sue storie. Ma, al contrario, sono gli eventi quotidiani dei personaggi a diventare storia, rispettandone il tempo dell’esperienza nel fluire della vita. Ogni nostra interpretazione, pertanto, diventa il frutto di un personale ragionamento sulla complessità dei fenomeni a cui assistiamo: in ogni film di Mungiu i personaggi si scontrano puntualmente con i radicati tabù che innervano le formazioni sociali (dalla famiglia allo stato, dalla religione alla scuola) favorendo stratificazioni di forme e figure che rifunzionalizzano il cinema moderno europeo partendo da Roberto Rossellini per arrivare ai fratelli Dardenne. Un approccio formale che allude a una neo-baziniana fiducia nelle potenze del fuoricampo come apertura dell’immagine alle incongruenze della vita.
Ecco, nelle inquadrature di Mungiu c’è sempre qualcosa di insondabile che preme dal fuoricampo alludendo addirittura a generi codificati come il thriller, il noir o il melodramma. Il cinema riesce quindi a configurare un nuovo campo di forze (una sorta di contropotere) che aprendo l’immagine alle ombre tangibili del passato favorisce una coraggiosa riflessione critica sul presente. In Animali selvatici l’insensata rabbia sociale verso queste tre persone si insinua lentamente in ogni scelta dei personaggi scatenando pregiudizi osceni (“Le loro mani sono nel nostro pane tutti i giorni, portano malattie che non conosciamo”) ed eventi inspiegabili (chi sta decimando gli animali del padre di Matthias? E perché?).
In pieno spirito neorealista Mungu parte anche questa volta da un’inchiesta. Il film si basa su un fatto di cronaca realmente accaduto in Transilvania che ha originato un grosso dibattito in Romania: il regista racconta di essersi per caso imbattuto nel video caricato su YouTube di un’assemblea comunale dove si discuteva animatamente della possibilità di licenziare tre operai srilankesi e allontanarli dalla comunità. Un video che ha ottenuto molte visualizzazioni e che Mungiu decide di rifilmare in un magnifico piano sequenza lungo più di dieci minuti dove confliggono in maniera abissale le istanze contrapposte dei processi di integrazione (portati avanti dalla manager e musicista Csilla) e la xenofobia di molti suoi concittadini alimentata dalle crisi economiche e dai processi di globalizzazione. Nella piccola assemblea comunale si dispiegano le dinamiche di potere delle istituzioni, dell’imprenditoria, della religione, tanto da riconoscere nitidamente i temi all’ordine del giorno del dibattito politico a ogni latitudine: crisi occupazionali e costo del lavoro, recessione e inflazione, rabbie verso le élite e nascita di nuovi nazionalismi, ecc..
E poi, ci sono le persone/personaggi che vivono tra queste inquadrature. Pensiamo all’amore impossibile tra Csilla e Matthias, consumato tra il desiderio di lei di evadere con la musica dai pregiudizi sessisti del villaggio e i conflitti interiori di lui che vorrebbe liberarsi dalle dinamiche sociali del suo habitus ma non ne ha mai veramente il coraggio. Insomma, Animali selvatici (proprio come il bellissimo Un padre, una figlia) è un commovente film intimista e allo stesso tempo un perturbante film antropologico che allegorizza i faticosi processi di integrazione dell’Europa del XXI secolo. In questo stallo della storia, in questa crisi profonda del dibattito pubblico che schiude istinti ferini, è il piccolo Rudi a compiere l’atto politico più potente e rivoluzionario. Il bambino decide di rinchiudersi nel mutismo sbandierando la sua sacrosanta fragilità e sperando che un singolo e straziante “ti voglio bene papà!” possa placare violenze, intolleranze e tutti gli altri animali selvatici che lo braccano dal fuori campo. Ripetiamolo: per rigore formale, densità metaforica e ricchezza interpretativa delle sue storie, Cristian Mungiu si conferma uno dei maggiori autori europei degli ultimi vent’anni.
Animali selvatici. Regia: Cristian Mungiu; sceneggiatura: Cristian Mungiu; fotografia: Tudor Vladimir Panduru; montaggio: Mircea Olteanu; scenografia: Simona Pădurețu; costumi: Cireșica Cuciuc; interpreti: Marin Grigore, Judith State, Macrina Bârlădeanu, Orsolya Moldován, Zoltán Deák, Andrei Finți, Mark Blenyesi, Ovidiu Crișan; produzione: Mobra Films, Why Not Productions, France 3 Cinéma, Filmgate Films, Film i Väst, Les Films du Fleuve; distribuzione: BiM Distribuzione; origine: Romania, Francia, Svezia; durata: 125′; anno: 2022.