Per un’etica artistica

di CHIARA SCARLATO

All the Beauty and the Bloodshed – Tutta la bellezza e il dolore di Laura Poitras.

Può un’operazione artistica essere a fondamento di una rivoluzione etica? Guardando al caso di Nan Goldin e della fondazione P.A.I.N. (Prescription Addiction Intervention Now), nata per iniziativa dell’artista nel 2017, non si può che rispondere affermativamente. Come mostra il documentario All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras, ci sono almeno due ordini di ragione distinti che spingono Nan, sin dalle prime opere, a coniugare la sua visione artistica (che, per inciso, collima totalmente con il suo esistere nel mondo) alla necessità di intervenire sui paradigmi attraverso i quali si è solitamente portati a comprendere e a codificare la realtà.

Procediamo con ordine: dietro prescrizione medica, Nan Goldin intraprende una terapia farmaceutica a base di ossicodone (principio attivo di un medicinale oppiaceo utilizzato nella terapia del dolore, immesso sul mercato alla fine degli anni ottanta), prodotto dalla casa Purdue Pharma LP, proprietà della famiglia Sackler. Effetto collaterale: le pillole, la cui assunzione è legata a una rigida posologia in funzione di un rilascio graduale della sostanza, causano dipendenza. Effetto collaterale letale: dalla sua produzione a oggi, 500.000 statunitensi muoiono a causa dell’assunzione di farmaci oppiacei dopo aver sviluppato una forma di dipendenza verso di essi che, nei casi più gravi, li ha condotti verso la ricerca di altre sostanze maggiormente compromettenti, tra queste, l’eroina.

A partire dall’esperienza di Nan Goldin, All the Beauty and the Bloodshed racconta di come la donna, dipendente dall’Oxycontin, sia riuscita “fortunatamente a tornare” – come lei stessa dice con la sua voce fuori campo – e a intraprendere un percorso di disintossicazione, dopo un episodio di overdose. Altre persone, come lei, sono tornate e lottano insieme a lei, ma altri, tantissimi, no, e sono i figli delle persone che si sono uniti alle incursioni che il gruppo ha condotto presso gli istituti culturali e di ricerca finanziati dalla famiglia Sackler, tra questi: il Guggenheim e il Metropolitan di New York; la National Portrait Gallery di Londra; il Louvre di Parigi. Come viene riportato nel film attraverso fotografie e riprese (anche delle fasi preparatorie alle azioni), gli attivisti manifestano il loro dissenso urlando slogan politici (“Sacklers Lie, People Die”), si stendono per terra e restano lì, corpi inerti tra flaconcini vuoti, striscioni e banconote macchiate di rosso.

A differenza di quanto, ad esempio, Joseph Beuys aveva fatto con l’opera Infiltration Homogen für Konzertflügel (1966) denunciando pubblicamente la pericolosità del farmaco Talidomide ritirato dal commercio nel 1961, Nan Goldin agisce nel presente, così come era accaduto con il ciclo The Ballad of Sexual Dependency (1979–1986, raccolto nell’opera omonima del 1986) o con la mostra Witnesses: Against Our Vanishing (New York, 1989-1990), totalmente incentrata sull’AIDS con lo scopo di rendere conoscibile quanto le politiche sociali tendevano a rendere invisibile. L’impatto di queste azioni è concreto e potente al punto che, nel caso di P.A.I.N., ha provocato la dichiarazione di fallimento della Purdue, un processo alla famiglia Sackler e la decisione di alcuni consigli di amministrazione di importanti sedi culturali e istituzionali (tra cui il Louvre) di rimuovere il nome dei Sackler dalle sale oppure di non accettare più le loro sponsorizzazioni.

Donando un potere discorsivo e una corporeità alle sue opere, Goldin tenta di opporsi all’inafferrabilità della vita, e questo tentativo ha radici profonde sulle quali il documentario si sofferma, anzi, sulle quali è la stessa Goldin a fare chiarezza. Il pregio del lavoro di Poitras, infatti, è proprio nell’aver azzerato qualsiasi filtro tra i piani di rappresentazione e visione: utilizzando materiali video in cui Goldin parla con altri e alcune delle sue fotografie che vengono commentate direttamente da lei, All the Beauty and the Bloodshed crea una forte intimità che consente di apprezzare l’autenticità dei racconti e di compartecipare del dolore degli altri, come accade nelle scene in cui vengono riportati alcuni stralci delle testimonianze nel corso del processo contro la famiglia Sackler oppure in quelle in cui appaiono i genitori di Nan che raccontano di Barbara, la sorella maggiore di Nan, morta suicida a diciotto anni, dopo aver trascorso diversi periodi in istituti che avrebbero dovuto “correggere” la sua attitudine alla vita.

Sebbene, come si è detto, nel caso di Nan Goldin sia impossibile sciogliere il vincolo tra vita e arte, il suicidio della sorella rappresenta, forse, il loro punto di congiunzione irreversibile. Mostrando i bollettini medici in cui veniva descritta la condizione di Barbara che era capace di vedere “il futuro e tutta la bellezza e lo spargimento di sangue”, Nan ricostruisce la sua memoria: quando i genitori ricevono la notizia del suicidio decidono di non comunicarlo a lei e agli altri fratelli ma Nan, undicenne, aveva ascoltato tutto. Di fronte alla verità negata, Nan dubita di se stessa per il fatto di non avere prove. Per non trovarsi nella stessa situazione, Nan raccoglierà continuamente documenti, appunto, prove che vengono esposte nel film a testimonianza della sua intera vita: fotografare per lei è un modo per dire a se stessa che qualcosa le è accaduto, che si tratti di sesso, feste, volti o, nel caso più estremo, dei suoi occhi illividiti a causa dei pugni ricevuti da Brian – suo compagno del tempo.

Tutto questo rendere traccia, testimoniare, documentare – di cui il film sembra quasi amplificare la portata – è una conseguenza di quello stallo dovuto alla difficoltà di Nan a mostrare la verità che viene fatalmente ricomposta nella scena in cui la madre legge il passo di Cuore di tenebra (1899), ritrovato su un biglietto accanto al cadavere della figlia: «Che cosa strana la vita – quel misterioso organizzarsi di una logica implacabile per un futile obiettivo. Il massimo che potete sperarne è una certa conoscenza di voi stessi – cui arrivate troppo tardi – una messe di rimpianti inestinguibili» (Conrad, 1987: 102). Nan ha scelto un’altra strada: cercare di conoscersi passando dall’esterno.

Riferimenti bibliografici
J. Conrad, Cuore di tenebra, Feltrinelli, Milano 1987.

All the Beauty and the Bloodshed. Regia: Laura Poitras; montaggio: Amy Foote, Joe Bini, Brian A. Kates, A.C.E.; musica: Soundwalk Collective; interpreti: Howard Gertler, John Lyons, Nan Goldin, Yoni Golijov; produzione: Laura Poitras; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: USA; durata: 117’; anno: 2022.

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