Vite di donne che hanno segnato in modi diversi la storia. Il volume Al femminile. L’architettura, le arti e la storia, a cura di Chiara Baglione e Sergio Pace, ripercorre – nei diciannove saggi oltre la prefazione dei curatori – l’evoluzione delle arti e dei mestieri attraverso figure femminili non «nascoste dietro a figure maschili più rassicuranti» (Baglioni, Pace 2023, p. 10). Il testo è suddiviso in quattro sezioni – I. Muratrici, committenti, mecenati; II. Artiste, educatrici, riformiste; III. Pioniere, cultrici di architettura, urbaniste; IV. Progettiste, intellettuali, groupies –, che cronologicamente focalizzano l’attenzione sulle presenze femminili che si sono distinte in ambiti tradizionalmente praticati dagli uomini.
Chiara Baglione e Sergio Pace affrontano la questione indagando cosa sottende la difficoltà di declinare al femminile termini riferiti a ruoli e professioni apparentemente destinati solo al genere maschile. Pongono dei quesiti sugli ipotetici effetti che, ad esempio, avrebbero avuto alcune opere se fossero state pensate o progettate dalle donne e, soprattutto, se «quando si parla di architettura al femminile, occorre necessariamente ricorrere agli strumenti e ai metodi della storia sociale e politica, introiettati dalla storia delle donne, oppure è possibile continuare a confidare in quelli di altre storie specialistiche, tra cui la storia dell’arte e/o dell’architettura?» (ivi, p. 11).
Ciò premesso, nel volume si incontrano non solo architettrici o architette ma anche mastre muratrici o committenti illuminate, donne che in forme diverse hanno costituito fino a tempi recenti uno stato di eccezione, per le quali, nella maggior parte dei casi, la condizione di genere sembra aver avuto effetti determinanti nelle proprie imprese.
La prima sezione si apre con il saggio di Nicoletta Marconi che affronta la questione della presenza di donne nei cantieri edili a partire già dal XIII secolo – non sempre in condizioni di parità di trattamento economico – e anche di come in qualche caso l’accesso a ruoli e a mestieri abitualmente svolti da uomini fosse stato favorito dall’aver ereditato dal marito attività come quella di tinozzara, carrettiera o di trasportatrice. Questa seppur parziale condizione di parità all’interno di ruoli prettamente svolti dagli uomini, vide un’inversione di tendenza verso la seconda metà del Settecento «quando il progressivo allontanamento delle donne da imprese artigiane e cantieri coincise con l’affermarsi dell’ideologia dell’onore e della cosiddetta “rispettabilità borghese”» (ivi, p. 25).
Seguono poi i contributi di Federico Bulfone Gransinigh, Valentina Burgassi, Gaia Nuccio e Marica Forni che indagano storie di donne committenti, collezioniste e sostenitrici che hanno approfittato della propria condizione privilegiata per emanciparsi. Le imprese di Margherita d’Austria in Abruzzo hanno rappresentato un’«eccezione in un contesto sociale e politico governato fondamentalmente da uomini» (ivi, p. 31). Così come quelle di Cristina di Svezia che «aveva ricevuto, per volere del padre, un’educazione virile sin dall’infanzia attraverso lo studio del greco e del latino, ma anche degli affari di Stato e della guerra» (ivi, p. 47) e che condivise una cordial amicitia e il ruolo di mecenate con l’omonima di Borbone.
L’Elettrice di Baviera Enrichetta Maria Adelaide svolse un ruolo di patronage con la fondazione dei Teatini di Monaco di Baviera, ma si potrebbe ipotizzare un attivo coinvolgimento nella commissione e nelle scelte progettuali di vari edifici, sostenute anche dalla sua rappresentazione in un dipinto con in mano progetti. E ancora la marchesa Eleonora Doria Sforza di Caravaggio Sinzendorf che ha offerto «il suo contributo alla riflessione sul rapporto tra architettura e modi di abitare» (ivi, p. 79).
La seconda sezione, invece, focalizza l’attenzione su figure femminili che hanno tentato di contribuire all’emancipazione di altre donne nel mondo dell’arte e dei mestieri. Maria Hadefield – analizzato da Maria Cristina Loi – riconobbe un ruolo fondamentale alla good education e si fece promotrice della fondazione di un collegio per l’educazione di giovani fanciulle verso la cui condizione mostrò grande attenzione e interesse con «la consapevolezza della necessità di diminuire il divario tra i generi, l’individuazione dell’educazione come chiave per sradicare i pregiudizi, per allentare i limiti imposti dalla società» (ivi, p. 100).
Diverso il caso – analizzato da Francesca Castanò e Anna Gallo – di May Morris, figlia di William e di Jane Burden. Dal padre, tra i principali fondatori dell’Art and Craft, ereditò «l’interesse per l’artigianato e la fede socialista»; la madre, famosa e abile ricamatrice, le insegnò invece «l’arte del ricamo e l’esperienza dei colori» (ivi, p. 115). La militanza nel partito socialista favorì le «azioni a supporto dell’emancipazione femminile, nell’attività di insegnamento e in quella di progettista» (ibidem) e il carattere curioso e intraprendente la spinse a innovare anche la tecnica del ricamo introducendo una griglia in tela come guida e fondamento del disegno per aiutare le ricamatrici nell’esecuzione di opere più complesse.
Seguono ancora analisi di storie di donne attive nel sociale che hanno fatto dell’appartenenza di genere una ragione fondante del loro impegno civile. Edith Elmer Wood vide nella gestione domestica il fulcro del ruolo femminile per nulla relegato al semplice compito subalterno di angelo del focolare ma con un forte connotato gestionale, legato semanticamente al termine natural homemakers, strettamente connesso all’indagine sulle situazioni abitative e la manutenzione continua delle abitazioni (a cura di Michela Morgante).
In conclusione, Anna Giannetti affronta i casi di donne che, partendo da Catharine Beecher, ancora interessata all’economia domestica con uno sguardo a questioni tecniche legate agli aspetti costruttivi, alle attrezzature e alle dimensioni, dove la donna diventava «l’unità di misura ideale, il Modulor in carne ed ossa della sua architettura» (ivi, p. 148), giunge fino alla consacrazione di Eileen Gray che, partendo dalla pittura e dalle arti figurative, riuscirà a conquistare un posto di rilievo divenendo una delle più importanti architette e designer di mobili dell’epoca contemporanea.
Eileen Gray ha introdotto il tema dell’ingresso delle donne nel mondo dell’architettura che viene affrontato in modo più esplicito nella terza sezione con i saggi di Maria Grazia Turco, Serena Belotti, Monica Prencipe, Anna Riciputo, Flavia Marinos e Claudia Mattogno. Il primo contributo ripercorre nuovamente questioni legati al ruolo delle donne nelle associazioni artistiche rivolte alle questioni architettonico-urbanistiche in particolare a Roma dopo l’Unità d’Italia che raggrupperanno figure di donne «“emancipazioniste” di orientamento liberale» (ivi, p. 163).
Segue poi il saggio rivolto alle tre pioniere dimenticate dell’architettura Elena Luzzato Valentini, Maria Emma Calandra e Valeria Caravacci, laureatesi prima del 1939 alla Regia scuola superiore di Architettura di Roma. Tre casi esemplari che hanno indagato il tema abitativo con particolare attenzione alla questione della distribuzione funzionale degli ambienti, all’edilizia scolastica, all’analisi del problema insediativo e, in generale, partecipato a diversi concorsi di architettura – seppur molto spesso offuscate dalle figure maschili. Flavia Marinos, invece, ha esplorato il ruolo della donna nella cultura romana tra fine Ottocento e i primi anni trenta del Novecento concentrandosi sulla partecipazione a diverse riviste come Capitolium e Architettura.
In conclusione della sezione, Claudia Mattogno ha ripercorso l’intensa carriera dell’architetta e urbanista Vittoria Calzolari, «docente di urbanistica alla Sapienza, assessora al centro storico a Roma, prima nella giunta Argan (1976-1979) e poi nella prima giunta Petroselli (1979-1981), animatrice di importanti battaglie culturali in seno ad associazioni come Italia Nostra e l’Ancsa (Associazione nazionale centri storico-artistici» (ivi, p. 203).
Gli ultimi sei saggi della sezione conclusiva, invece, sono rivolti a figure femminili del secolo scorso che, grazie anche a una condizione di maggiore emancipazione della donna, hanno svolto un ruolo ancor più dominante nella sfera culturale e professionale. Egle Renata Tricarnato (a cura di Maddalena Scimemi), Elena Mendia (a cura di Chiara Ingrosso), Cini Boeri (a cura di Chiara Baglione), Gae Aulenti (a cura di Elisa Boeri), Denise Scott Brown (a cura di Rosa Sessa) e le figure femminili nel Radical design italiano analizzate da Elena Dellapiana, offrono una testimonianza di carriere poliedriche che hanno visto nel tempo aumentare i gradi di separazione, e quindi di emancipazione, dalle figure maschili che le hanno affiancate.
I quesiti posti nella prefazione al volume possono trovare nella lettura dei vari saggi risposte spesso contraddittorie. Ogni figura analizzata si è posta come personalità distopica rispetto alla sua epoca riuscendo, in alcuni casi anche grazie al proprio status, a farsi spazio in contesti riservati al genere maschile o a ritagliarsi al loro interno dei settori intervento che avessero una forte connotazione femminile. Ma una risposta più netta e condivisibile «circa un’architettura declinata in chiave specificatamente femminile» viene proprio da una delle protagoniste, Gae Aulenti che a proposito della questione affrontata durante l’International Congress of Women Architects a Ramsar in Iran nel 1976, in un’intervista del 2009 commentò: «Non ci fu in quel convegno nessuna ricerca del fascino esotico, di un altro possibile pensiero, di un’altra modalità creativa, di una possibile immaginazione femminile». Non architettura maschile o femminile quindi, ma «la consapevolezza che il sapere è costituito da processi che lo determinano e che l’architettura è potenzialità critica che prepara gli strumenti che serviranno a definire la specificità della disciplina» (ivi, pp. 271-272).
Chiara Baglione, Sergio Pace, a cura di, Al femminile. L’architettura, le arti e la storia, Architectural Design and History, Franco Angeli, Milano 2023.
* G.B. Zelotti, Allegoria dell’Architettura (dettaglio), Villa Emo a Fanzolo, 1565