Fra le tante belle proposte nell’ultima stagione anime – autunno 2022 – ce n’è stata una che, alla fine, piaccia o non piaccia, ha sicuramente spiccato per alcune sue caratteristiche: Akiba Maid War (12 episodi, da noi disponibile e sottotitolata su Crunchyroll). Diretta da Sōichi Masui, con sceneggiatura di Yoshihiro Hiki, character design di Manabu Nii, e musiche di Yoshihiro Ike, questa serie originale vede alla produzione lo studio di animazione P.A. Works, fra i più famosi nel campo, e quella macchina da sogni e soldi che risponde al nome, probabilmente noto ai tifosi della Juventus, di Cygames, per chi leggesse il giapponese, fra le creazioni sotto il  loro controllo, occhio a Uma Musume Cinderella Grey, un vero gioiellino di manga sportivo.

Ora, perché Akiba Maid War meriterebbe attenzione? Un primo motivo potrebbe essere che, sul piano del valore, si tratta di un tipo di opera di difficile collocazione e, per questo, molto interessante. Non è un capolavoro – qualche genio del Novecento l’ha già detto a chiare lettere, anche basta con i capolavori – e non è nemmeno l’opposto, cioè quello che potrebbe essere visto come un prodotto scadente, o peggio, come un prodotto qualsiasi. Dunque: qualcosa a metà strada tra gli estremi? Se questo vuol dire mediocrità, neanche per sogno. Limitandosi alla sfera dei media e quindi dell’audiovisivo, diciamo che si tratta di una esperienza che può soddisfare diverse tipologie di pubblico, senza per questo cedere a soluzioni facili, stereotipate. Anzi, a prescindere da chi sia lo spettatore/la spettatrice (otaku, curioso/a, studioso/a etc.), si troverà sempre qualcosa di riconoscibile mescolato con elementi decisamente diversi e in modi, per così dire, sorprendenti. A partire dalla trama.

Akiba sta per Akihabara, il celebre quartiere di Tokyo dove la cultura pop nipponica è di casa. I maid cafè fanno parte di questo scenario: per chi non lo sapesse, sono locali definibili come un mix tra sala da tè, bar e ristorante, in cui si è serviti da ragazze vestite con abiti da cameriera in stile, diciamo, vittoriano. La serie comincia con un antefatto, datato 1985, per poi sviluppare sostanzialmente la narrazione dalla primavera del 1999, quando una giovanissima ragazza ancora inesperta del mondo, Nagomi, arriva nel quartiere per coronare il suo sogno di diventare una maid. Il locale in cui lavorerà è il «Ton Tokoton», detto anche «Butagoya» (porcile), ultima ruota del carro del Creatureland Group, organizzazione che raccoglie tutta una serie di maid cafè, associati a determinate creature (es., leone, volpe, gatto, e il maiale per «Ton Tokoton»). Ora, il nostro «porcile» non paga il dovuto all’organizzazione. E fra le sue sottoposte, la manager – figura a suo modo memorabile, genialmente inetta e scaricabarile – incaricherà proprio Nagomi, accompagnata da un’altra nuova arrivata, la più anziana e misteriosa Ranko, di compiere una missione che dovrebbe sistemare le cose ma si rivelerà l’innesco di qualcosa di devastante: episodio dopo episodio, fino alla fine. Ma fin dall’incarico risulterà chiaro come, se l’estetica delle immagini è un richiamo al«moe moe kyun», la sostanza è violenza.

Un secondo motivo di interesse per Akiba Maid War sta nella presenza di momenti, per così dire, genialmente fuori dalle righe. Per esempio la sigla di apertura e quella di chiusura sono – in modo diversi – esempi di iperrealismo spinto fra colori sgargianti e saturi, dettagli, ralenti, precise scelte musicali. Su questa linea si può menzionare anche la parte finale del primo episodio, che dilata e coreografa l’orrore con un gusto per l’astratto che magari non sarebbe dispiaciuto a Busby Berkeley. In altri casi invece la sorpresa può essere data da come vengono risolte questioni e situazioni narrative visto che, il più delle volte, vengono tradite determinate aspettative. Cosa da indurre a cercare una chiave di lettura al di là delle prime impressioni. Come, dunque, “vedere” la serie?

A ben guardare, Akiba Maid War è quasi un gioco di specchi. Le opere giapponesi, siano esse di letteratura o appartenenti al mondo multimediale come i manga, o, come in questo caso, gli anime, hanno sempre avuto una forte tendenza al richiamo a elementi di prodotti del passato; elementi che, gioco forza, possono sfuggire al pubblico occidentale, ma che costruiscono puzzle tridimensionali, i quali sono la delizia di chi è in grado di risolverli. Così Akiba Maid War può essere considerato come una folle versione pop del rivoluzionario Lotta senza codice d’onore, film del 1973 di Kinji Fukasaku – lo stesso regista che anni dopo, nel 2000, dirigerà un’altra opera perturbante che dipingerà, stavolta, le inquietudini del Giappone d’inizio XXI secolo: Battle Royale –, primo di una fortunata serie seguita da altre quattro pellicole. La yakuza, la criminalità organizzata nipponica, viene dipinta come mai era successo in precedenza con tutta la sua brutalità e disperazione, mostrando che l’onore che si vantava di possedere era solo un sogno effimero.

Inoltre, se togliamo la maschera di dotabata e l’aspetto kawaii, di carineria, che avvolge Akiba Maid War, anche la sua storia è permeata, oltre che di violenza, di un’atmosfera di profonda tristezza e di senso dell’effimero, unita a una certa vena di nostalgia per il tempo passato. Se Nagomi, come già detto, è la classica novellina che arriva nella grande metropoli piena d’ideali e fiduciosa verso il futuro, le sue compagne hanno ormai una visione ben chiara e disillusa della realtà. Forse, inaspettatamente, proprio l’impassibile Ranko, una persona che ha perso tutto nella vita, e che nel “Ton Tokoton”, per quanto sgangherato, trova l’unica casa che la accolga, è la vera sognatrice che persegue una sua irrealizzabile via ideale. Il fatto stesso che abbia trentacinque anni, sia senza marito né figli, ne fa, nel Giappone del 1999, una reietta fuori tempo massimo. Non per nulla, capita più volte che i clienti o le ragazze degli altri locali della Creatureland Group la prendono crudelmente in giro considerandola una «vecchia». La durezza di questo mondo animato riflette pure gli aspetti d’ombra reali dei maid cafè, dove nel corso degli anni si sono avuti problemi causati sia da clienti che da cameriere.

Infine, cos’è il succitato dotabata? È un termine che si può incontrare di frequente nella letteratura giapponese, assimilabile al termine slapstick, anche se mostra degli elementi tipicamente locali. È differente dal demenziale americano; sebbene la storia sia infarcita di gag e assurdità, ha un suo filo narrativo ben preciso che muove la narrazione da un punto iniziale a uno finale. E in Akiba Maid War, al di là delle battute a raffica della pusillanime manager, e al rapportarsi ad anime famosi, come l’intero episodio dell’incontro di boxe, chiaro omaggio al fumetto di Ashita no Jō (noto in Italia con il nome di Rocky Joe) con la sceneggiatura di Asao Takamori e i disegni di Tetsuya Chiba, la linea della storia che attraversa ogni episodio è netta e scandita con precisione.

Ottima è anche stata la scelta di non ambientare la vicenda nel 2022, ma alla fine del XX, quando Akihabara era ancora un quartiere diverso: in parte luogo di negozi di elettronica e informatica dove si poteva trovare ogni tipo di componente; in parte nel corso del suo processo di trasformazione nella cosiddetta mecca degli otaku odierna. In ciò, la serie riesce molto bene a delineare quel periodo, dove il misto di kawaii e di un certo senso di sciatteria e di disfacimento allora ancora presente creavano un ambiente davvero surreale, tanto che, assurdamente, non sarebbe stato per nulla strano che gruppi di maid potessero davvero spararsi e accoltellarsi per le strade. Questo punto è sottolineato proprio da un dialogo verso la fine della serie, che avviene ai nostri giorni, dove tre uomini parlano del fatto che sembra impossibile che lì un tempo le giovani maid si uccidessero a vicenda.

Akiba Maid War. Regia: Sōichi Masui; adattamento: Yoshihiro Hiki; musiche: Yoshihiro Ike; produzione: Cygames, P.A. Works; distribuzione: Crunchyroll; origine: Giappone; anno: 2022.

Tags     anime, Giappone, maid cafè
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