L’esistenza contemporanea ci spinge spesso a stringere i pugni, in un gesto di sofferente rivolta, di rabbia trattenuta a stento di fronte alla sequela di eventi traumatici cui ci hanno esposti gli ultimi vent’anni: crisi economica, terrorismo, pandemia, guerra. È questa temperie al centro dell’analisi di Massimo Recalcati in una sostanziosa raccolta dei suoi scritti destinati ai quotidiani – nello specifico a la Repubblica – dal 2011 ad oggi, pubblicata di recente da Feltrinelli sotto il titolo di A pugni chiusi. Psicoanalisi del mondo contemporaneo. La lunga tradizione di studi psicoanalitici applicati al discorso politico-sociale, che annovera, oltre a Freud, interpreti come Reich, Fromm e Fornari – per citarne solo alcuni, trova in Recalcati un erede appassionato, a tratti animato da una generosa vis polemica, sempre guidato da una visione di fondo che fa da filigrana alla lunga serie di interventi sull’attualità e sui temi cruciali degli ultimi due lustri contenuta nel volume.

Il cuore del discorso recalcatiano è la constatazione della «precarizzazione dell’assetto del mondo interno e del mondo esterno» (Recalcati 2023, p. 11). L’evaporazione della funzione paterna, la crisi dell’orizzonte simbolico novecentesco segnato dalle grandi ideologie, ha lasciato evidenti macerie nei diversi ambiti del vivere individuale e sociale: famiglia, scuola, partiti, rapporti all’interno dello Stato e fra Stati. Come già evidenziato da Lacan nella sua precoce interpretazione del «discorso del capitalista» (Lacan 1978), l’imposizione consumeristica del godimento assoluto sotto l’egida del mercato ha determinato la mutazione antropologica sostanziata nella proliferazione dei gadget quali oggetti feticistici e nell’obliterazione del rapporto con l’Altro. È la nuova formula del disagio, per cui, «mentre per Freud il disagio dell’uomo scaturiva dall’inconciliabilità tra il programma della pulsione […] e quello della Civiltà […], oggi il programma della pulsione sembra essersi imposto su quello della civiltà» (ivi, p. 13).

Il “tutto e subito” è diventato la torsione perversa del luogo un tempo occupato dalla Legge, per cui l’ingiunzione super-egoica all’edonismo compulsivo dei consumi e la correlata rapacità sfrenata dei mercati hanno aperto le porte a uno scatenamento neolibertino delle pulsioni, in cerca di un soddisfacimento senza differimento, e, a conti fatti, senza desiderio. È il godimento senza piacere, i cui esiti depressivi e melancolici, dopo lo scoppio della bolla maniacale, sia a livello individuale sia collettivo, sono sotto gli occhi di tutti, prendendo le diverse forme delle psicopatologie ipermoderne, dalle nuove dipendenze alle anedonie di un soggetto privato della tensione desiderante (è il tema affrontato dallo stesso Recalcati all’interno dei suoi studi più prettamente clinici, da L’uomo senza inconscio a Le nuove melancolie).

D’altro canto, però, assistiamo, inquietantemente e con conseguenze devastanti a livello politico e sociale, alla tentazione di arginare l’evaporazione della Legge e del confine simbolico restaurando, paranoicamente, il volto patriarcale e autoritario delle norme: quella che Recalcati chiama «tentazione del muro» è alla base di fenomeni come la recrudescenza dei nazionalismi, il sovranismo populista, il presidio militare dei confini e il respingimento disumano dei migranti alle porte dell’Europa, la follia fondamentalista dei seguaci dell’Isis, la repressione patriarcale degli ayatollah iraniani contro le donne e la brutale aggressione putiniana all’Ucraina. Accanto, dunque, alla declinazione perversa, rappresentata dall’(an)edonismo neoliberista, della pulsione sganciata dalla Legge, questa stessa pulsione acefala viene incarnata nel mondo postmoderno da una vocazione altrettanto mortifera: è l’auto- ed etero-distruttività dei movimenti reazionari e delle politiche securitarie, il tratto claustrale e difensivo della spinta pulsionale. Ma la “soluzione” paranoica, così come quella perversa, ha il fiato corto. Come mostrato tragicamente, nel recentissimo passato e nel presente, dall’esperienza pandemica e dalla guerra in Ucraina così come dalle altre manifestazioni di questa “ossessione per il confine”, il trincerarsi dietro un muro, il pensare di poter fare a meno dell’Altro – di escluderlo dalla vita dell’Io –, si rivela un passo verso il collasso delle relazioni umane; a conti fatti, la pulsione autoconservatrice coincide, paradossalmente, con «una spinta al proprio annientamento» (ivi, p. 14).

Nella serie televisiva HBO The Last of Us, l’orizzonte pandemico, divenuto per noi tristemente noto, assume una piega narrativa capace di mostrarci la lezione più profonda della minaccia incarnata dal virus: l’Altro è ingovernabile, dunque, «le relazioni con il nostro simile sono sempre pericolose, fonte di instabilità e di perturbazione» (ivi, p. 168). Ancora più a fondo, la lezione della psicoanalisi al riguardo è che l’ingovernabilità del Reale riguarda tanto le minacce esterne quanto quelle interne, come argomentato da Franco Fornari a proposito della natura della guerra (Fornari 2023). La tentazione paranoica di proiettare sull’Altro il volto cainesco, di fermarsi allo sguardo invidioso di Caino, distrugge la fratellanza e rende impossibile la difesa di qualunque vita, inclusa quella del soggetto. La libertà emancipata da qualsivoglia vincolo spezza i legami comunitari e mette a rischio l’esistenza del singolo e quella collettiva. Recalcati, con papa Francesco, ci ricorda pertanto che «nessuno si salva da solo».

È qui che il discorso recalcatiano si fa fortemente pedagogico e investe il rapporto genitori-figli e una nuova versione del legame generazionale. Per lo psicoanalista milanese, il «discorso educativo contemporaneo è travolto da questo inno sconsiderato della libertà, che coincide con la volontà anarcoide di fare quel che si vuole senza rendere conto a nessuno» (ivi, p. 170). Come è possibile, allora, saldare nuovamente la libertà alla Legge, o, in altri termini, riunire la forza vivificante e generativa del desiderio con il legame comunitario dell’ordine simbolico? Naturalmente, sarà a questo punto chiaro che questo ordine non coincide in alcun modo con una restaurazione del sistema patriarcale e autoritario, ma con un rinnovato legame di solidarietà e fratellanza intergenerazionale.

Qual è, perciò, il nuovo Nome-del-Padre? Perché, per Recalcati, nell’epoca dell’eclissi del padre o dell’evaporazione della sua funzione simbolica, ci troviamo di fronte a un’inedita domanda di padre, nella società, nella politica, nella cultura. «Anche se il padre invocato non può più essere il padre del patriarcato ideologico, il padre che ha l’ultima parola sul senso della vita e della morte, […] ma solo un padre-testimone, radicalmente umanizzato e vulnerabile, capace non di dire qual è il senso ultimo della vita ma di mostrare, attraverso la testimonianza della propria vita, che la vita può avere un senso» (ivi, p. 24).

È il padre vulnerabile di Cormac McCarthy ne La strada, in grado di mostrare la propria fragilità e di eclissarsi, di lasciare andare e lasciare essere il figlio. Ma quale figlio? Non Edipo, il rivale parricida del proprio padre, che infrange la Legge del legame simbolico e va incontro a un destino di rovina. Piuttosto, il rovescio di Edipo, Telemaco come anti-Edipo, il cui sguardo non è accecato come quello del personaggio sofocleo, ma è fisso sul mare, in attesa del ritorno del padre. Telemaco è il figlio che coltiva l’attesa, esponendosi al rischio che essa sia infinita, che diventi l’attesa di Godot. Eppure, tiene fisso lo sguardo sull’orizzonte, sapendo «che qualcosa torna sempre dal mare» (ivi, p. 25), mettendosi attivamente in viaggio per preparare la strada del ritorno.

Ciò che può tornare non è il vecchio ordine, e non ci sarebbe, naturalmente, da augurarselo. Ciò che può tornare è il tempo del desiderio, il tempo di coloro che «non vogliono rinunciare a guardare il mare, ad avere un orizzonte» (ivi, p. 26). Come le ragazze e i ragazzi protagonisti della serie Netflix The 100, che guardano il cielo in attesa dell’Arca. Dal mare torneranno padri fragili, padri vulnerabili, insegnanti, migranti, lavoratori, poeti – un’umanità imperfetta, ma che ha ancora un futuro in dono per i figli che verranno. Saranno padri senza patria e senza padronanza, ma testimoni della nostra provenienza dal mare aperto – dal campo dell’Altro. Padre, per Recalcati, ci sembra di poter dire, non è dunque colui che indica una mèta, ma chi tiene aperto un orizzonte. Per restituire allo sguardo delle figlie e dei figli l’indirizzo smarrito della speranza.

Riferimenti bibliografici
F. Fornari, Psicoanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 2023.
J. Lacan, Del discorso psicoanalitico, in G. Contri (a cura di), Lacan in Italia, La Salamandra, Milano 1978.

Massimo Recalcati, A pugni chiusi. Psicoanalisi del mondo contemporaneo, Feltrinelli, Milano 2023.

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